LA STORIA
di Lucia Checchia
Termoli, una città di mare,
trasformata in seguito alle tante ricostruzioni operate dopo i terremoti
e i maremoti dell’antichità ma anche in seguito allo sviluppo
commerciale e urbano. Un borgo marinaro, divenuto oggi una città che
desidera ardentemente rinnovarsi, essere ospitale senza mai dimenticare
la sua vocazione squisitamente turistica che, seppur ancora in fase
embrionale, resta il punto di forza di questo centro.
Fino al 1847 la vita dei termolesi si è svolta all’interno delle mura
medioevali del borgo antico. Quella che un tempo era la campagna
coltivata a viti, ulivo e grano pian piano si è rivestita di cemento
dando vita alla Termoli di oggi. Il borgo ha perso il suo caratteristico
aspetto di isolotto. La costruzione del porto, tanto sospirata e
sofferta, ne ha trasformato notevolmente l’aspetto. Grazie ad esso, in
pochi anni, si è potuta sviluppare una consistente flottiglia di
motopescherecci dalla cui attività traggono beneficio i pescatori e la
città. Il canale Portiglione è stato riempito e il borgo è ora parte
integrante dell’abitato nuovo. Le spiagge, un tempo scalo di alaggio per
paranze e battelli, sono un susseguirsi di stabilimenti balneari che
d’estate pullulano di turisti italiani e stranieri. Delle torri
costiere, un tempo vigili sentinelle del territorio, non restano che
ruderi e quei trabucchi che un tempo erano un mezzo di sussistenza per
molti, ora sono una semplice attrattiva turistica. In una lenta e
inarrestabile metamorfosi il paesaggio si è trasformato sotto i nostri
occhi, giorno dopo giorno, ora dopo ora. L’unica cosa che non è mai
cambiata con il tempo è lo stretto legame che unisce Termoli al suo
mare, un mare che ha da sempre rappresentato l’unica ragion d’essere
della cittadina e ne ha caratterizzato profondamente la vita in tutti i
suoi aspetti, economici e sociali, religiosi, culturali e politici.
Il piccolo borgo medioevale di Termoli sorge su un promontorio roccioso proteso sul mare Adriatico, su quel lembo di costa molisana un tempo abitata dai Frentani. Gli stretti e tortuosi vicoli raccontano la storia di un passato le cui origini sono legate al mare e ai traffici commerciali e militari che su di esso si sono svolti nel corso dei secoli. Gli abitanti di Termoli vissero all’interno del borgo per secoli, fino al 1847, anno in cui Ferdinando II, in visita alla cittadina termolese, ne autorizzò la costruzione fuori le mura (extra moenia) definendo il tracciato dell’attuale Corso Nazionale sul quale prese il via la costruzione del borgo nuovo. Seguì la demolizione di parte delle mura vicino al castello e la creazione di un nuovo accesso al borgo antico. Il mare ha da sempre rappresentato una risorsa straordinaria e, grazie alla pesca, anche un’importante fonte di sussistenza. Per tutto l’Ottocento la popolazione era dedita in modo marginale a questa attività mentre l’economia era legata prevalentemente ai lavori agricoli e allo sfruttamento della terra. Solo nel primo Novecento ci furono dei cambiamenti radicali in tal senso che caratterizzarono un periodo di relativo sviluppo, testimoniato da studi locali e più recentemente da alcune ricerche specifiche di settore. L’esperienza marinara racconta gli albori di una pesca praticata con le imbarcazioni a vela che precedette l’avvento delle barche a motore. Le prime imbarcazioni non consentivano certo l’allontanamento dalla costa per ovvie ragioni di sicurezza e perché non avrebbero retto mai la forza del mare aperto. L’imbarcazione caratteristica era la paranza che pescava in coppia con un’altra (“a paro”). Oltre alle paranze erano utilizzati i battelli che erano differenti dalle paranze per forma e per le note dimensioni ridotte. Alla fine degli anni Trenta, in seguito all’introduzione del divergente, anche il battello iniziò a praticare la “pesca a strascico”, una novità rispetto al passato quando queste piccole imbarcazioni venivano utilizzate esclusivamente per la piccola pesca (sarde, sogliole e vongole) o per trasportare a terra il pesce prelevato dalle paranze. Oltre alle paranze e ai battelli, grazie all’introduzione di particolari attrezzature, vennero utilizzati anche altri metodi di pesca come ad esempio la “vongolara”, la “sciabica”, la cosiddetta “petarola” o “sciabichetta”, il “saltarello”, le “nasse” e la “sfogliara”. Le macchine da pesca per eccellenza erano senz’altro i cosiddetti “trabucchi” (o trabocchi) posizionati a margine della costa termolese dalla marina di S. Antonio, passando per il porto e Rio Vivo, fino a giungere alla foce del Biferno. Fonti orali raccontano di un primo trabucco costruito, intorno alla metà dell’Ottocento, da un pescatore della zona, Felice Marinucci, che costruì questo bilanciere sulla marina di S. Pietro, nei pressi della propria abitazione, a ridosso del Borgo. Con il passare degli anni la presenza di queste macchine da pesca si sviluppò su tutta la costa termolese. La peculiarità di queste palafitte sul mare era quella di utilizzare il molo come base d’appoggio anche se dal 1930 in poi, essendo il porto di Termoli in fase di continua espansione ed evoluzione, i trabucchi venivano spesso spostati in conseguenza dei lavori portuali. Oggi di quelle antiche costruzioni sul mare non c’è più traccia. Ne sono stati costruiti altri, su modello di quelli antichi, sul molo sud e sulla marina di S. Antonio ma con delle caratteristiche rispondenti ad esigenze odierne. I trabucchi sono comunque l’ultimo tentativo di recuperare un pezzo di storia in chiave turistica. Dagli inizi del ‘900 il mare è stato per la città di Termoli anche una via di divertimenti ed evasione. Nel 1903 infatti nacque il primo stabilimento balneare ubicato sulla marina di Sant’Antonio grazie all’intuizione della ditta “Antonio Bontempo & C”. Nel 1920 fu poi la volta dello stabilimento balneare “Nettuno” realizzato da Bassantonio Sciarretta. L’elegante struttura aveva le proprie fondamenta nell’acqua e ad ogni fine estate veniva completamente smontata. La struttura era dotata di cabine o spogliatoi, di un bar o sala d’intrattenimento e rimase in funzione fino alla fine della seconda guerra mondiale quando la sua struttura lignea fu requisita dalle truppe inglesi. Nel 1925 fu la volta del Lido delle Sirene, poi del lido Panfilo nel 1937 che, diversamente dagli altri, prevedeva una struttura in muratura con cabine, ombrelloni, sedie sdraio e bar. Tutto questo non poteva che rappresentare lo sviluppo e la crescita di un turismo balneare. A supporto della progettualità turistica fu la costruzione dell’attuale via Mario Milano che, insieme alla posizione strategica della ferrovia, consentiva alla città di essere raggiunta con più facilità da chi proveniva dalle località limitrofe. Questa importante strada era un punto di raccordo tra la stazione ferroviaria e il mare. Su via Mario Milano, infatti, nacquero i primi alberghi e le prime attività di ristorazione. Fino agli anni ’50 si può essenzialmente parlare di un turismo regionale costituito in gran parte da viaggiatori provenienti dai piccoli paesi del Molise. Un turismo vivo solo nei giorni di festa e che cominciò a divenire “di massa” solo con l’avvento dello sviluppo industriale nella zona del basso Biferno. Oggi sono presenti, sia sul lungomare Nord che sul lungomare di Rio Vivo, lidi balneari e strutture ricettive che d’estate ospitano turisti italiani e stranieri. Per concludere non possiamo non menzionare il porto che ha rappresentato non solo ricchezza per la popolazione locale ma un volàno di sviluppo per l’intera Regione. Localizzato ad est del borgo antico, il porto di Termoli, unico approdo molisano, è un porto polifunzionale attivo sia a livello commerciale e marittimo sia a livello turistico considerando che il flusso dei passeggeri per le Isole Tremiti e la Croazia ha raggiunto in questi ultimi anni le 250mila unità. Nasce prevalentemente come approdo per i pescherecci ed ospita circa 120 imbarcazioni di cui 10 per la piccola pesca impiegando circa 500 operatori. Sul molo nord si è sviluppata con gli anni la cantieristica navale, mentre sul molo sud è stato realizzato un porticciolo turistico. Sulla base di quanto detto finora appare chiaro come sia necessario, se si vuole raggiungere un più sano ed equilibrato sviluppo economico, tracciando le linee guida di una progettualità permanente che non stravolga la natura e la vocazione turistica ed eno-gastronomica di una cittadina che resta sempre e comunque il fiore all’occhiello della Regione Molise, non perdere mai di vista lo stretto legame tra Termoli e il suo mare.
Il castello
Il piccolo borgo medioevale di Termoli sorge su un promontorio roccioso proteso sul mare Adriatico, su quel lembo di costa molisana un tempo abitata dai Frentani. Gli stretti e tortuosi vicoli raccontano la storia di un passato le cui origini sono legate al mare e ai traffici commerciali e militari che su di esso si sono svolti nel corso dei secoli. Gli abitanti di Termoli vissero all’interno del borgo per secoli, fino al 1847, anno in cui Ferdinando II, in visita alla cittadina termolese, ne autorizzò la costruzione fuori le mura (extra moenia) definendo il tracciato dell’attuale Corso Nazionale sul quale prese il via la costruzione del borgo nuovo. Seguì la demolizione di parte delle mura vicino al castello e la creazione di un nuovo accesso al borgo antico. Il mare ha da sempre rappresentato una risorsa straordinaria e, grazie alla pesca, anche un’importante fonte di sussistenza. Per tutto l’Ottocento la popolazione era dedita in modo marginale a questa attività mentre l’economia era legata prevalentemente ai lavori agricoli e allo sfruttamento della terra. Solo nel primo Novecento ci furono dei cambiamenti radicali in tal senso che caratterizzarono un periodo di relativo sviluppo, testimoniato da studi locali e più recentemente da alcune ricerche specifiche di settore. L’esperienza marinara racconta gli albori di una pesca praticata con le imbarcazioni a vela che precedette l’avvento delle barche a motore. Le prime imbarcazioni non consentivano certo l’allontanamento dalla costa per ovvie ragioni di sicurezza e perché non avrebbero retto mai la forza del mare aperto. L’imbarcazione caratteristica era la paranza che pescava in coppia con un’altra (“a paro”). Oltre alle paranze erano utilizzati i battelli che erano differenti dalle paranze per forma e per le note dimensioni ridotte. Alla fine degli anni Trenta, in seguito all’introduzione del divergente, anche il battello iniziò a praticare la “pesca a strascico”, una novità rispetto al passato quando queste piccole imbarcazioni venivano utilizzate esclusivamente per la piccola pesca (sarde, sogliole e vongole) o per trasportare a terra il pesce prelevato dalle paranze. Oltre alle paranze e ai battelli, grazie all’introduzione di particolari attrezzature, vennero utilizzati anche altri metodi di pesca come ad esempio la “vongolara”, la “sciabica”, la cosiddetta “petarola” o “sciabichetta”, il “saltarello”, le “nasse” e la “sfogliara”. Le macchine da pesca per eccellenza erano senz’altro i cosiddetti “trabucchi” (o trabocchi) posizionati a margine della costa termolese dalla marina di S. Antonio, passando per il porto e Rio Vivo, fino a giungere alla foce del Biferno. Fonti orali raccontano di un primo trabucco costruito, intorno alla metà dell’Ottocento, da un pescatore della zona, Felice Marinucci, che costruì questo bilanciere sulla marina di S. Pietro, nei pressi della propria abitazione, a ridosso del Borgo. Con il passare degli anni la presenza di queste macchine da pesca si sviluppò su tutta la costa termolese. La peculiarità di queste palafitte sul mare era quella di utilizzare il molo come base d’appoggio anche se dal 1930 in poi, essendo il porto di Termoli in fase di continua espansione ed evoluzione, i trabucchi venivano spesso spostati in conseguenza dei lavori portuali. Oggi di quelle antiche costruzioni sul mare non c’è più traccia. Ne sono stati costruiti altri, su modello di quelli antichi, sul molo sud e sulla marina di S. Antonio ma con delle caratteristiche rispondenti ad esigenze odierne. I trabucchi sono comunque l’ultimo tentativo di recuperare un pezzo di storia in chiave turistica. Dagli inizi del ‘900 il mare è stato per la città di Termoli anche una via di divertimenti ed evasione. Nel 1903 infatti nacque il primo stabilimento balneare ubicato sulla marina di Sant’Antonio grazie all’intuizione della ditta “Antonio Bontempo & C”. Nel 1920 fu poi la volta dello stabilimento balneare “Nettuno” realizzato da Bassantonio Sciarretta. L’elegante struttura aveva le proprie fondamenta nell’acqua e ad ogni fine estate veniva completamente smontata. La struttura era dotata di cabine o spogliatoi, di un bar o sala d’intrattenimento e rimase in funzione fino alla fine della seconda guerra mondiale quando la sua struttura lignea fu requisita dalle truppe inglesi. Nel 1925 fu la volta del Lido delle Sirene, poi del lido Panfilo nel 1937 che, diversamente dagli altri, prevedeva una struttura in muratura con cabine, ombrelloni, sedie sdraio e bar. Tutto questo non poteva che rappresentare lo sviluppo e la crescita di un turismo balneare. A supporto della progettualità turistica fu la costruzione dell’attuale via Mario Milano che, insieme alla posizione strategica della ferrovia, consentiva alla città di essere raggiunta con più facilità da chi proveniva dalle località limitrofe. Questa importante strada era un punto di raccordo tra la stazione ferroviaria e il mare. Su via Mario Milano, infatti, nacquero i primi alberghi e le prime attività di ristorazione. Fino agli anni ’50 si può essenzialmente parlare di un turismo regionale costituito in gran parte da viaggiatori provenienti dai piccoli paesi del Molise. Un turismo vivo solo nei giorni di festa e che cominciò a divenire “di massa” solo con l’avvento dello sviluppo industriale nella zona del basso Biferno. Oggi sono presenti, sia sul lungomare Nord che sul lungomare di Rio Vivo, lidi balneari e strutture ricettive che d’estate ospitano turisti italiani e stranieri. Per concludere non possiamo non menzionare il porto che ha rappresentato non solo ricchezza per la popolazione locale ma un volàno di sviluppo per l’intera Regione. Localizzato ad est del borgo antico, il porto di Termoli, unico approdo molisano, è un porto polifunzionale attivo sia a livello commerciale e marittimo sia a livello turistico considerando che il flusso dei passeggeri per le Isole Tremiti e la Croazia ha raggiunto in questi ultimi anni le 250mila unità. Nasce prevalentemente come approdo per i pescherecci ed ospita circa 120 imbarcazioni di cui 10 per la piccola pesca impiegando circa 500 operatori. Sul molo nord si è sviluppata con gli anni la cantieristica navale, mentre sul molo sud è stato realizzato un porticciolo turistico. Sulla base di quanto detto finora appare chiaro come sia necessario, se si vuole raggiungere un più sano ed equilibrato sviluppo economico, tracciando le linee guida di una progettualità permanente che non stravolga la natura e la vocazione turistica ed eno-gastronomica di una cittadina che resta sempre e comunque il fiore all’occhiello della Regione Molise, non perdere mai di vista lo stretto legame tra Termoli e il suo mare.
Per le vie del borgo antico, attraverso la memoria…
Scavare nel passato per rinvigorire
la memoria attraverso il racconto, la testimonianza, attraverso la
storia vissuta da un popolo che ha segnato il cammino di una città.
Attraverso i segni, attraverso i gesti, semplici o complessi che siano,
una comunità testimonia la volontà di “fare”, di esprimersi, di lasciare
un marchio tangibile nella vita di ciascuno ma anche nella collettività
che si esalta nelle tradizioni, usi, valori autentici.
La
storia racconta la nostra amata Termoli, una città che si lascia
“raccontare”, che si libera nelle parole di chi ha vissuto vicissitudini
e gratificazioni, dolori e benessere, inganni e amori, una quotidianità
che spesso è ancora un mistero, specie agli occhi delle giovani
generazioni. Termoli e i suoi monumenti, i suoi vessilli, le sue piazze…
Termoli e le strette vie di un borgo che oggi sfocia e si ramifica
nelle terre circostanti…. Termoli e le parole di coloro che hanno
lasciato questo mondo ma che vibrano ancora nelle famiglie, tra gli
amici, nell’atmosfera cristallina che sovrasta i ricordi. Per le vie
antiche del paese è facile scorgere la memoria storica e architettonica,
quella passata e quella più recente, ancora viva nel ricordo dei nostri
padri, luoghi che sembrano così lontani nel tempo ma che in fondo
raccontano ancora del secolo passato…
Tra
le case antiche, in quella che oggi è Piazza Duomo, il cuore del borgo,
un tempo c’erano le carceri mandamentali, luogo di privazioni, di
solitudine e di tormento per i detenuti. Negli anni a cavallo tra il
1947 e il 1948 la storia locale racconta che sei detenuti evasero dalle
carceri mandamentali di Termoli sgozzando l’allora guardia carceraria
Giuseppe Cannarsa. Sua moglie si salvò fingendosi morta. Lo scenario di
questo evento delittuoso fu l’edificio sito nel cuore del Borgo antico
con ingresso in Via Duomo n. 15. Il fabbricato, all’epoca di proprietà
della famiglia Norante di Campomarino, venne preso in affitto dal Comune
di Termoli a partire dal 1927 dopo che, a causa del crollo della volta,
erano state abbattute le vecchie carceri di Via Roma. Le carceri di Via
Duomo si trasferirono alla fine degli anni Settanta nei locali
dell’attuale comando dei vigili urbani, nei pressi dello stadio comunale
di calcio. Dirette dal pretore, le carceri accoglievano detenuti che
dovevano scontare pene per un massimo di 6 mesi e fungevano da transito
per i detenuti che da Pescara e Ancona dovevano essere trasferiti a
Campobasso e per i detenuti che da Campobasso dovevano essere trasferiti
al nord.
I
detenuti arrivavano tre volte alla settimana a bordo del vagone
cellulare alla stazione di Termoli e da lì venivano condotti alla sede
carceraria con le mani incatenate. Transitavano a Termoli detenuti di
ogni sorta e il loro arrivo faceva radunare la folla incuriosita.
C’erano 4 stanze per gli uomini e una stanzetta per le donne, per cui al
massimo potevano essere incarcerati 12 uomini e 4 donne. Custodi del
carcere dal 1952 al 1980 furono i coniugi Barone. Durante la loro
permanenza all’interno del carcere era direttore il pretore Francesco
Cancellieri sostituito poi da Giuseppe Nazzaro.Per il vitto del detenuto
provvedeva una donna, la signora Adelina, la quale serviva la colazione
alle 8, il pranzo alle 11 e la cena alle 18. Non era possibile avere
l’ora d’aria a causa dell’inadeguatezza della struttura e si aveva
diritto alle visite solo una volta alla settimana per un massimo di
mezzora e con il permesso del pretore.
Il
custode era affiancato sempre da una donna nelle sue mansioni. Egli
infatti non poteva avvicinarsi alle carcerate, per lo più prostitute,
per evitare il rischio di essere accusato di violenza nei loro
confronti. I custodi vivevano in un appartamento all’interno delle
carceri.
E così, la quotidianità di un tempo
si fa racconto, diviene testimonianza, per non dimenticare, perché le
radici autentiche del nostro comune sentire si possono rintracciare
anche nelle piccole cose, negli aneddoti, nelle emozioni di gente comune
che ha regalato il cuore a questa città!
La Cattedrale
La
Cattedrale si erge nel cuore del Borgo Antico di Termoli da dove domina
con la sua maestosità l’intero tessuto urbanistico. La facciata si compone di tre navate prive di
transetto e, a giudicare da alcuni elementi decorativi (capitelli delle
lesene, pilastri addossati ai muri, archi a ferro di cavallo), non è da
escludere un’influenza orientale. La sua costruzione risale, molto
probabilmente, alla prima metà del secolo XIII sulle rovine di due
precedenti templi: un edificio sacro del secolo X (di cui non si hanno
tracce archeologiche) ed uno successivo risalente all’XI-XII secolo. A
quest’ultimo appartengono i mosaici tricromi in bianco, rosso e nero
raffiguranti elementi zoomorfi rinvenuti a circa 90 cm. sotto l’attuale
livello di pavimentazione della chiesa superiore. Il pavimento musivo è
venuto alla luce in seguito ad un restauro radicale avvenuto negli anni
‘30. Nel 1945 vennero altresì rinvenute le reliquie di S. Timoteo.
Queste ultime erano state nascoste nel 1239 dall’allora Vescovo di
Termoli onde proteggerle dall’attacco dei Veneziani, alleati del Papa
contro Federico II, che in quegli anni saccheggiarono le coste
adriatiche. Dedicata a Santa Maria della Purificazione, la Cattedrale è
stata dichiarata monumento nazionale nel 1885 ed elevata a Basilica
minorenel 1947 dalla Santa Sede. Il suo aspetto interno si discosta
notevolmente da quello originario. Nel dicembre del 1456 un
violentissimo terremoto fece crollare la parte superiore della facciata
dell’edificio che venne ricostruita con materiale di recupero. Rovine
successive risalgono alle invasioni nemiche provenienti dal mare, la più
terribile delle quali fu senz’altro quella dei Turchi nell’agosto del
1566. All’inizio del Settecento cominciò la trasformazione barocca
dell’interno della Cattedrale a scapito dello stile romanico
preesistente. Il restauro degli anni ‘30, voluto da Mons. Oddo
Bernacchia, riguardò praticamente tutto l’edificio, eccetto la facciata e
le pareti perimetrali. Il presbiterio fu sopraelevato di due metri e
venne abbassata la quota della Chiesa inferiore. Nel 1961 vennero
installati rosone e finestrone con vetri istoriati. Tra l’ottobre del
1993 e il febbraio del 1994, in occasione dei lavori di restauro e
riassetto della sagrestia, venne avviata un’indagine archeologica il cui
scopo era quello di chiarire la sequenza strutturale tra gli edifici
ancora in uso (Cattedrale, Campanile, palazzo Vescovile, Sagrestia).
Dall’indagine, tra le altre cose, venne fuori che la prima
frequentazione dell’area era riferibile all’età del Bronzo (ca. 4000
anni fa). Contemporaneamente alla Cattedrale mosaicata dovette sorgere
il Campanile, a base quadrata.
La facciata
La facciata della Cattedrale
illustra, come fosse la pagina di un libro, il tema religioso del ciclo
del Mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. La scena della
Presentazione (la Purificazione di Maria) posta in posizione
privilegiata sul portale dà il titolo all’edificio. La facciata si
compone di due parti in notevole contrasto tra loro appartenenti, molto
probabilmente, ad epoche e manovalanze diverse. La parte superiore è
semplice superficie continua con la sola presenza del rosone a rottura
della continuità. Nella facciata inferiore si nota, tra la metà di
destra e quella di sinistra, una diversa tessitura del parametro
murario. Quella di sinistra appare regolare con conci di pietra tutti
della stessa dimensione, quella di destra alterna una fila orizzontale
con pietre più grandi e una con pietre più piccole. La facciata si
compone di una serie di sette arcate; quella maggiore incornicia la
lunetta del portale, le altre sei includono bifore tutte variamente
lavorate ed arricchite. Le bifore estreme sono fiancheggiate da leoni
stilofori sovrastati da grifi. Delle originarie quattro statue poste a
coppie sulle due mensole ne resta solo una, quella di sinistra che
raffigura S. Basso, patrono della città.
Il culto di San Basso
Strettamente
legato alla tradizione marinara è il culto di San Basso, venerato dalla
cittadina termolese da tempo immemorabile. Ne è una riprova la statua
sul portale della Cattedrale con tanto di iscrizione. Molto
probabilmente Termoli è entrata in possesso delle reliquie del Santo non
prima dell’anno mille; resta l’incertezza circa le modalità e la
provenienza delle stesse. Le reliquie furono nascoste nella
“Grotticella” all’interno della Cattedrale. La fortuna di ritrovarle fu
di Tomaso Giannelli, vescovo di Termoli dal 1753 al 1768. Egli ci ha
lasciato un resoconto dettagliato del ritrovamento avvenuto la sera del
31 dicembre 1760. Nella relazione datata 8 gennaio 1761 egli attesta il
ritrovamento, la ricognizione delle ossa e la decorosa sistemazione
delle reliquie per la venerazione dei fedeli. È molto cauto
nell’attribuire le reliquie al vescovo e martire di Nizza. Afferma però
che le feste del 4 agosto (giorno della traslazione) e del 5 dicembre
(giorno del martirio), celebrate da tempo immemorabile, non avrebbero
avuto senso se non ci fosse stata la certezza che quel corpo fosse
effettivamente quello del santo Vescovo e Martire Basso. Nella sua
omelia del 4 agosto 1762 il vescovo capovolge la situazione affermando
che le reliquie appartengono a S. Basso martire e vescovo di Lucera. La
città di Lucera, in alcuni documenti, ipotizza un furto delle reliquie
da parte dei termolesi verso il nono secolo. Secondo il Giannelli dunque
il corpo di S.Basso sarebbe giunto a Termoli via terra. Della stessa
opinione non è il vescovo D’Agostino convinto sostenitore del fatto che
le reliquie appartengono effettivamente a S.Basso di Nizza, trafugato
dai marinai termolesi a Marano dopo il X secolo e giunto a Termoli via
mare. “La leggenda narra che ad una donna di Marano, sposata ad un uomo
di Termoli, fu rivelato misteriosamente che nel sotterraneo della Chiesa
di un convento vicino Marano fosse sepolto il corpo di S.Basso.
Avvertite le Autorità, la leggenda narra che furono trovate realmente le
ossa del santo nel luogo indicato dalla donna. Questa, tornata a
Termoli, comunicò tale prestigioso evento ai termolesi che, spinti da
chissà quale pio desiderio, di notte navigarono fino alle coste di
Marano per trafugare le reliquie del santo. I maranesi, avvertiti del
pericolo, impedirono il… sacro trasloco e, con gesto magnanime, donarono
alla pia donna l’avambraccio destro. Questa portò la sacra reliquia a
Venezia per farla rivestire d’oro e racchiuderla in un’urna d’argento.
Ma l’orefice, d’accordo con il Doge, sottrasse la vera reliquia e
restituì alla donna un avambraccio finto, di legno di fico e rivestito
d’oro. La donna, tornata a Termoli, volendo accertarsi dell’autenticità
dell’avambraccio lo punzecchiò con uno spillo; dal pezzo di legno,
miracolosamente, sprizzò sangue vivo. In effetti il corpo venerato a
Cupramarittima (già Marano) è privo di questa parte. La restante parte
del braccio destro fu donata dalla città di Marano alla città di Nizza”.
Il castello
Circa le origini del castello di Termoli si è abbastanza incerti a causa
della mancanza di documenti scritti. Alcuni elementi sono tipici
dell’epoca normanna, altri dell’epoca sveva, altri ancora di epoca più
recente anche se non si esclude l’esistenza di una preesistente torre di
origine longobarda. Nel XIII secolo Termoli fu incorporata nel grande
impero di Federico II di Svevia. In seguito al saccheggio dei Veneziani,
avvenuto nel 1240, il castello appariva gravemente danneggiato e
bisognoso di cure. Il castrum di Termoli, porta settentrionale
della Capitanata, era situato in una posizione strategica e Federico II
ne ordinò la ricostruzione: per questo motivo è detto SVEVO. Quello che
oggi appare ai nostri occhi è il frutto di numerose trasformazioni e
adattamenti avvenuti nel corso dei secoli, vuoi per l’adattamento ai
mutamenti di funzione vuoi in seguito ad eventi calamitosi quali ad
esempio il violento terremoto avvenuto nel 1456 del quale restano tracce
di lesioni in alcune pareti o a causa di invasioni straniere tra cui
ricordiamo quella dell’incursione turca del 1566. Altri pesanti
interventi sono avvenuti nel corso dell’Ottocento e dopo la seconda
guerra mondiale. Con l’introduzione delle armi da fuoco alcune feritoie
ad arciere sono state trasformate in archibugiere. Il nucleo centrale,
di origine normanna, è costituito da un edificio a pianta quadrata
completamente realizzato in mattoni, coperto da una volta a botte.
Durante il periodo Svevo fungeva da cisterna; lo desumiamo dai resti di
tubuli per la raccolta delle acque, dalla presenza di intonaco idraulico
e dall’apertura quadrangolare ancora oggi visibile nell’angolo
sud-ovest. La parte esterna si compone di due grandi volumi sovrapposti.
Il basamento è a tronco di piramide con quattro torri semicircolari
aggettanti su cortine murarie a scarpa. Il piano terra si compone di 4
grandi ambienti a pianta rettangolare con copertura a botte che
fungevano da magazzino e deposito. La comunicazione tra piano terra e
primo piano era garantita da scale in legno. Il primo piano, detto
corridoio degli arcieri, era l’unico ingresso al castello al quale si
accedeva mediante un ponte levatoio del quale restano visibili le
fessure, le mensole in pietra sulle quali ruotava il meccanismo e una
trave in legno. Il piano pavimentale era originariamente composto da
ciottoli allettati con malta, ricoperti da paglia mista a carbone.
Attraverso una scala lignea era possibile accedere al terrazzo dal
quale, attraverso una scala retrattile in legno, era possibile accedere
al donjon il quale si sviluppa su tre piani attualmente inaccessibili in
quanto zona militare. Il castello ospita infatti la stazione
meteorologica dell’aeronautica militare. All’esterno, sul lato
dell’ingresso, sono stati riportati in luce tratti murari probabilmente
ascrivibili all’epoca federiciana in funzione di battiponte. Al di sotto
del ponte levatoio c’era un fossato. Nel 1799 i Borbone utilizzarono la
cisterna inferiore del castello come carcere. Alcuni disegni a carbone
scoperti di recente potrebbero essere attribuiti a quel periodo. Dal
1885 il castello di Termoli è annoverato tra i monumenti nazionali e
viene utilizzato per ospitare mostre e per celebrare matrimoni civili.
Nonostante il suo aspetto sia mutato considerevolmente non è certo privo
di fascino.
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